La tarantola

La particolare fisionomia della fauna centro-appenninica si vede di continuo rimodellata da vari fattori naturali come la morfologia del territorio, processi climatici, geologici e idrologici e dall’interazione con le attività umane che spesso la influenzano negativamente.

A tal proposito basti pensare alle conseguenze che hanno le attività dell’uomo come la caccia, l’ecoturismo, l’agricoltura e le infrastrutture di trasporto sul territorio.

Ma l’uomo influenza la fauna non solo alterandole l’habitat, ma anche introducendo nuove specie che possono non essere originarie del luogo.

E’ il caso di una specie di ragno molto comune nell’Italia Meridionale, la Tarantola (Lycosa tarantula). La diffusione di questo ragno si concentra principalmente al Sud Italia, difficilmente lo si può trovare dal centro sud in su e, in particolare, in montagna. Questo, però, è ciò che è successo nella località di Maenza sul Monte Calvello.

Qui è stato osservato un esemplare di ragno, classificato come Tarantola sulla vetta del monte.

Ciò è possibile a causa dell’alterazione che ha subito il paesaggio in quel punto per via del pascolo che si è ivi svolto in passato. Infatti, il taglio del bosco che un tempo ricopriva la vetta per permettere al bestiame di pascolare, ha ricreato l’ambiente adatto alla sopravvivenza di questo animale.

La Tarantola scava un buco nel terrene che le fa da tana e lì vi si apposta aspettando che una preda vi passi sopra per afferrarla e ucciderla.

Contrariamente a quel che si crede di questo ragno, non è pericoloso per l’uomo. Tale credenza è stata alimentata dalle leggende legate alla Tarantola e all’associazione di questo nome ad un’altra famiglia di ragni americani che sono molto velenosi ma non appartengono al genere presente in Italia.

Di tutte le specie presenti in Italia, nessuna è in grado di uccidere un uomo.

Non sempre, però, l’introduzione di una nuova specie d’animale è vantaggiosa, in quanto potrebbe compromettere la sopravvivenza delle specie autoctone del luogo.

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